Il caso dei “Cecchini del weekend” a Sarajevo e la violenza come pratica di consumo
24 Novembre 2025
di Martina Caslini, dottoranda di ricerca presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Secondo quanto riportato da diverse testate giornalistiche, la Procura di Milano ha recentemente aperto un’indagine a carico di ignoti, definiti dai media come “cecchini del weekend”, con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai motivi abbietti (ANSA, il Fatto Quotidiano). L’inchiesta riguarderebbe alcuni italiani che, durante l’assedio di Sarajevo, nel contesto della guerra dell’ex-Iugoslavia degli anni ’90, avrebbero pagato ingenti somme di denaro per ottenere la possibilità di appostarsi attorno alla città e sparare personalmente sui civili.
Un fenomeno di tale portata, se confermato, solleva interrogativi significativi in merito alla violenza e al fascino che essa può esercitare su certi individui, in particolare sul desiderio di parteciparvi attivamente.
Innanzitutto, rileva osservare che in letteratura si è affrontato il tema del “dark tourism”, sebbene le circostanze ipotetiche di questa vicenda sembrino collocarsi su un piano più sfaccettato, estendendosi oltre i comportamenti tradizionalmente inclusi in questi studi.
Nello specifico, il concetto di dark tourism o “turismo oscuro”, è definito come la pratica di visitare i luoghi associati alla morte, alla sofferenza, al macabro o alla vergogna, sia per motivazioni consapevoli, sia occasionalmente per curiosità. A questo proposito, zone che sono stati teatro di battaglie – come, ad esempio, Sarajevo – e altri siti legati ai conflitti armati hanno attirato visitatori per oltre un millennio, a testimonianza di un duraturo interesse umano per la memoria della violenza e della morte, come osservato da Baldwin e Sharpley (R. Sharpley, P.R. Stone, The Darker Side of Travel: The Theory and Practice of Dark Tourism, 2009).
È tuttavia fondamentale distinguere tra la fruizione passiva della violenza, caratteristica del dark tourism, e il coinvolgimento attivo nella sua commissione. Il turismo oscuro, infatti, si concentra principalmente su esperienze post-evento, in cui il visitatore osserva o riflette sulla sofferenza altrui senza contribuirne direttamente allo svolgimento. Il caso dei “cecchini del weekend” rappresenta, diversamente, una trasposizione estrema di tale fascinazione: non più semplice osservazione, ma partecipazione organizzata e attiva alla violenza stessa.
Inoltre, questo fenomeno desta perplessità se si considera che i soggetti coinvolti erano, secondo le ricostruzioni di alcuni media, persone benestanti che scelsero deliberatamente di pagare per trascorrere periodi di tempo dedicandosi all’atto di sparare contro civili. A questo riguardo, occorre osservare che anche la dimensione mercificata della violenza è stata oggetto di diversi studi accademici. Binik, ad esempio, si interroga su fino a che punto sia lecito trasformare un luogo di morte in un “pacchetto turistico”. Inoltre, l’autrice mostra come il dilagare della fascinazione per il crimine si intrecci a interessi economici e sottolinea come la violenza rappresenti, per alcuni, “l’attuale core-business dell’industria del divertimento” (O. Binik, Quando il Crimine è Sublime, 2017). Nel caso dei cecchini del weekend, l’uccisione di civili, se confermata, costituirebbe un esempio in cui l’esperienza di violenza viene acquistata e consumata quasi come una sorta di “vacanza”. Una violenza resa possibile da una struttura logistica sofisticata, volta a facilitare lo svolgimento di un’“attività ricreativa” macabra: un “gioco” terribile, un paintball tragicamente autentico.
In sintesi, il fenomeno dei “cecchini del weekend” mostra come la fascinazione per la violenza possa intrecciarsi con dinamiche economiche, spingendoci a riflettere su come possa diventare spiegabile, per quanto inaccettabile, la trasformazione della violenza letale in una modalità di consumo.