Venticinque anni dopo: la Società Europea di Criminologia al bivio tra passato e futuro
18 Settembre 2025
Dal 3 al 6 settembre si è tenuta ad Atene la 25ª conferenza annuale della Società Europea di Criminologia (European Society of Criminology - ESC), la principale associazione scientifica che riunisce criminologhe e criminologi europei, e che ha visto la partecipazione di circa 2.300 persone.
Doveva essere, oltre all’ormai consolidata vetrina della ricerca criminologica europea, una conferenza di celebrazione: dei 25 anni di attività, dell’espansione della società e dei progetti realizzati in questi anni. È stato, invece, un evento tormentato e frustrante per molti dei e delle partecipanti, che ha evidenziato, fondamentalmente, un’incapacità della governance della società – il Comitato Esecutivo, composto da membri eletti con diversi ruoli – di gestire il cambiamento, di confrontarsi con temi fondamentali della società contemporanea e con le istanze democratiche provenienti dalla sua stessa base.
Il nodo centrale del conflitto ha riguardato la questione palestinese e la presenza alla conferenza di un certo numero di ricercatrici e ricercatori israeliani/e, tra cui una parte affiliati alla Ariel University, istituzione costruita nei Territori Occupati (a tutti gli effetti, quindi, una università illegale).
Già lo scorso anno, durante la 24ª conferenza della Società tenutasi a Bucharest, erano emerse tensioni per il tentativo di alcune/i partecipanti di bloccare i panel che vedevano la presenza di ricercatrici e ricercatori israeliane/i, come forma di protesta rispetto al genocidio in corso a Gaza. Inoltre, qualche settimana prima dell’inizio della Conferenza, il gruppo Criminologists for Palestine (che include membri/e della ESC), sostenuto da criminologi, criminologhe ed esperti/e di diritto penale tramite la “Petizione contro la complicità”, chiedeva una chiara presa di posizione da parte del Comitato Esecutivo su alcuni punti. In particolare, sollecitava il riconoscimento e la denuncia degli atti di genocidio commessi a Gaza e dei crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati da Israele nei territori palestinesi, nonché l’interruzione di ogni relazione (inclusa la partecipazione alle conferenze) con studiose e studiosi afferenti a “complicit Israeli academic institutions”. Tale ultima richiesta si poneva in continuità con decisioni analoghe già assunte da altre società scientifiche internazionali, tra cui l’American Anthropological Association, Middle East Studies Association, e l’Australian and New Zealand Society of Criminology.
A queste sollecitazioni il Comitato Esecutivo ha risposto con alcuni Statement che hanno lasciato molti insoddisfatti: richiami retorici all’inclusività e al dialogo, ma nessuna presa di posizione chiara e un evidente tentativo di nascondersi dietro cavilli formali e giuridici (per approfondire, si veda qui). La decisione del Comitato Esecutivo è stata quella di permettere di presentare in Assemblea una mozione che riprendeva alcuni punti della petizione sopra citata, ma di non sottoporla al voto, ritenendo che questa violasse il principio statutario di inclusività. Siamo consapevoli che il Comitato Esecutivo abbia tentato una mediazione con Criminologists for Palestine e che la mozione avrebbe potuto essere più chiara su alcuni passaggi, in particolare sull’ampiezza e i limiti del boicottaggio delle istituzioni israeliane. Proprio per questo, però, la discussione sul tema non avrebbe dovuto essere relegata all’ultimo punto dell’agenda dell’Assemblea Generale, lasciando appena tre quarti d’ora di discussione.
Al di là degli esiti assembleari, è importante rilevare come la semplice ipotesi di votazione della mozione abbia trasformato l’Assemblea Generale da momento rituale, in cui si approva il bilancio e si eleggono i membri del Comitato Esecutivo, nell’evento probabilmente più frequentato e più carico di emotività di tutta la storia della ESC (si è parlato di ben 700 persone presenti). Inoltre, nonostante la mozione non sia stata formalmente messa ai voti, “simbolicamente” il voto è stato chiesto, e ha evidenziato un supporto maggioritario alle richieste di Criminologists for Palestine. Alla fine dell’Assemblea, la presidente Michele Burman ha annunciato che la questione sarà sottoposta nei prossimi mesi – o settimane – a un voto online su alcuni quesiti che formulerà il Comitato Esecutivo.
Chi scrive queste riflessioni è un gruppo di alcune persone con ruoli diversi, da chi è stata Presidente della società e componente del Comitato Esecutivo in passato, a chi ha partecipato quest’anno per la prima volta. Tutte e tutti siamo tornati da Atene con una profonda insoddisfazione, soprattutto dopo l’Assemblea Generale, e con un comune desiderio di prendere le distanze e di abbandonare questa comunità scientifica se in futuro le cose non cambieranno.
A nostro avviso, le vicende che qui abbiamo cercato di sintetizzare impongono alla ESC di riflettere con chiarezza sul proprio ruolo e sulla propria rappresentatività. Il Comitato Esecutivo ha trasmesso l’immagine di un organismo avulso dalla società e dai suoi conflitti, incapace di assumere una posizione su eventi che ci riguardano sia come studiose e studiosi della criminalità e sia come persone. Rivendicare una presunta “neutralità scientifica” appare come un’operazione miope e, francamente, codarda. La governance della ESC rischia così di scontentare molte persone, non solo chi è impegnato in prima linea in Criminologists for Palestine.
La vicenda ha, inoltre, messo in luce altre due questioni importanti: la prima è il basso standard democratico della Società (non garantire la votazione ufficiale in Assemblea rimane una macchia nella storia della ESC); la seconda è più generale e ha a che fare con un cambiamento su cui il Comitato Esecutivo e l’intera ESC devono interrogarsi: le idee dei “padri fondatori”, elaborate 25 anni fa in un mondo più stabile e relativamente consensuale, risultano ancora adeguate nel panorama contemporaneo? Non sarebbe forse necessario ripensare a come dare concretezza a valori dichiarati ma non sempre praticati? In queste settimane, una nuova generazione di criminologhe e criminologi, giovani, spesso in condizione di precarietà lavorativa e sicuramente estranei/e all’establishment criminologico, ha preso la parola e ha chiesto questo cambiamento. Se la ESC vuole dimostrarsi all’altezza delle sfide che questi tempi ci impongono, dovrà ascoltarla e rispondere in maniera più adeguata di come ha fatto finora.
Elisa Begnis, Assegnista di ricerca presso l’Università di Bologna
Chiara Chisari, Assegnista di ricerca presso l’Università di Milano
Rossella Selmini, Professoressa presso l’Università di Bologna
Laura Squillace, Assegnista di ricerca presso l’Università di Milano
Simone Tuzza, Ricercatore presso l’Università di Bologna