COMMENTO & OPINIONE

L’economia del genocidio e la responsabilità degli attori economici: il nuovo rapporto Onu sui Territori palestinesi occupati

01 Agosto 2025



Lavinia Parsi, dottoranda di ricerca presso Università degli Studi di Milano e Humboldt-Universität zu Berlin

Lo scorso 30 giugno la Relatrice speciale Onu per i territori palestinesi occupati dal 1967, Francesca Albanese, ha reso pubblico il suo ultimo rapporto intitolato Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio.

Il rapporto è dedicato all’insieme delle aziende, imprese ed attori economici di diversa natura che, attraverso la loro attività, ‘sostengono il progetto coloniale israeliano di rimozione e sostituzione dei Palestinesi nei territori occupati’. Già nel 2020 l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (UN OHCHR) aveva realizzato un database relativo a tutte le imprese commerciali implicate in attività specifiche relative agli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est. Dai dati raccolti, emergeva il coinvolgimento di 112 imprese a vario titolo partecipi nel business degli insediamenti illegali.

A partire da questa analisi, la Relatrice speciale ha deciso di allargare notevolmente il campo di indagine, così da comprendere tutti gli attori economici implicati in gravi violazioni dei diritti umani e commissione di crimini internazionali in Cisgiordania e a Gaza. Tra questi: la violazione del diritto all’auto-determinazione del popolo palestinese, l’annessione del territorio occupato, il mantenimento in essere dell’occupazione illegale e quindi crimine di aggressione, i crimini di apartheid e genocidio e gli altri crimini e violazioni accessori. Come messo in luce nel rapporto, infatti, molte delle imprese che hanno contribuito negli scorsi decenni al mantenimento dell’occupazione e del regime ad essa associato stanno oggi facilitando la commissione di violazioni ulteriori, ivi compreso lo sterminio in corso a Gaza. In particolare, il rapporto analizza il coinvolgimento di attori economici nell’ambito di alcuni settori chiave, come quello militare e di sicurezza, high-tech e di sorveglianza, edilizio, agricolo, idrico ed energetico, turistico, finanziario, accademico e non-profit. In base a quanto emerge dai dati, sarebbero centinaia le imprese coinvolte a livello globale, comprese alcune con sede in Europa ed in Italia, come la produttrice di armi Leonardo S.p.A.

Dopo una prima parte descrittiva, il rapporto presenta un annesso nel quale viene delineato il quadro normativo che disciplina la responsabilità legale delle persone giuridiche ai sensi del diritto internazionale, con eventuali risvolti anche in ambito penalistico. L’obiettivo è cioè quello di fornire delle chiare basi per identificare e definire casi di corporate accountability, oltre la dimensione meramente etica o reputazionale. Con riferimento alla situazione in Israele/Palestina, tale prospettiva diventa centrale per analizzare le forme attraverso cui il potere economico non solo capitalizza e sostiene indirettamente, ma rende materialmente possibile il consolidarsi di regimi fondati sull’espropriazione, sulla segregazione e sulla negazione sistematica dei diritti fondamentali. In questo spirito, sono ormai diversi i procedimenti proposti in diverse giurisdizioni domestiche relativi ad attività commerciali complici in gravi violazioni dei diritti umani. Per citare solo i più recenti, a giugno alcuni avvocati per i diritti umani hanno presentato un esposto in Regno Unito nei confronti della nota piattaforma Airbnb, per avere incluso tra le proprie proposte di alloggio anche strutture situate negli insediamenti illegali in Cisgiordania. Un caso analogo era già stato presentato nel 2024 nei Paesi Bassi nei confronti di Booking.com per riciclaggio di denaro. Nel 2022, veniva invece presentato in Francia un esposto nei confronti della compagnia israeliana NSO per avere infiltrato illegalmente lo spyware Pegasus nel dispositivo personale di un noto attivista franco-palestinese.

Oltre a presentare il quadro normativo di riferimento, il rapporto evidenzia la dimensione economica dei progetti coloniali, analizzata non come dinamica accessoria ma come componente strutturale del processo di espropriazione e sostituzione della popolazione oppressa. In questa prospettiva, il contributo degli attori economici risulta funzionale al mantenimento e all’espansione del controllo territoriale attraverso mezzi economici e infrastrutturali. Come osservato da Kalika Mehta nel suo recente libro Strategic Litigation and Corporate Complicity in Crimes under International Law: A TWAIL Analysis (Routledge, 2024), in diversi contesti storici imprese private hanno svolto un ruolo cruciale nei processi di colonizzazione, assumendo funzioni che andavano ben oltre la sfera economica. Le cosiddette settler corporations si sono spesso rese complici di gravi violazioni e pratiche sistemiche di espropriazione e violenza contro le popolazioni indigene. Pur in un mutato scenario giuridico e strutturale, molte imprese contemporanee continuano a ricoprire un ruolo centrale in dinamiche di oppressione territoriale e negazione dei diritti.

Occorre, poi, leggere il rapporto in relazione a quello pubblicato ad ottobre 2024 sempre dalla Relatrice Speciale, dal titolo Il genocidio come cancellazione coloniale. In tale sede, veniva sottolineato come il colonialismo da insediamento tenda strutturalmente a culminare nella distruzione e sostituzione della popolazione indigena – una tesi centrale ed ampiamente sviluppata negli studi sul settler colonialism. Il nuovo rapporto sviluppa questa analisi sul piano economico, mostrando come le attività di impresa nei Territori palestinesi occupati – in territori strategici come l’edilizia, l’estrazione di risorse, la sicurezza, il turismo – contribuiscano alla progressiva rimozione (displacement) e sostituzione (replacement) della popolazione palestinese. In questa prospettiva, l’”economia del genocidio” non è solo una metafora: descrive il ruolo materiale delle logiche di profitto nella produzione di condizioni strutturali che alimentano il progetto coloniale, di cui stiamo vedendo le estreme conseguenze nella Striscia di Gaza.

Alla luce dei precedenti normativi e giurisprudenziali – tanto a livello internazionale quanto in sede domestica – il rapporto sollecita una riflessione sul dovere di prevenzione e disincentivazione di condotte aziendali che contribuiscono, direttamente o indirettamente, alla commissione di atti contrari al diritto internazionale. In tale prospettiva, la corporate accountability non si configura solo come esigenza etico-politica, ma come dimensione sempre più rilevante dell’architettura giuridica contemporanea volta alla tutela dei diritti fondamentali nei contesti di dominio coloniale e violenza strutturale.

 

[Disclaimer: Tutte le fonti citate sono disponibili in lingua inglese. Le traduzioni presenti nel testo sono a cura dell’autrice e non costituiscono versioni ufficiali.]